Fiori Salvatore
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cenni critici

“…Alcune sculture di Fiori sono costituite da forme apparentemente semplici, nelle quali può intravedersi il ricordo di strutture organiche o di elementi della natura: altri, invece, sembrano richiamare immaginari congegni meccanici, purificati dall’estrema sintesi compositiva.

Intenso è poi il rapporto che alcune opere stabiliscono con la terra sulla quale sono appoggiate: il motivo ricorrente della freccia sembra ricondurre idealmente ad un sottosuolo, dal quale peraltro si immagina siano emerse. E alla terra riconduce anche la presenza dei diversi materiali, metallo, legno, pietra.

Aria, terra, dunque, elementi concretamente assenti dall’opera, appaiono tuttavia virtualmente presenti come riferimenti costanti, legati ad una riflessione cosmica.”

FRANCESCA PENSA (1995)

Progetto vitale”   1995  - Ferro e granito -  Cm 200 x 295 x h 190

“...è forse intorno all’arcaica simbologia dei quattro elementi che ruota la ricerca di Fiori, sviluppata intorno alla tridimensionalità. Le sculture si caratterizzano immediatamente per un tratto distintivo di levità, in cui viene celato il senso di gravità attraverso l’uso di appoggi minimi, quasi puntiformi che sostengono strutture nelle quali è forte il gioco dei pieni e dei vuoti. Ne risulta un’elaborazione fra forme organiche e richiami simbolici dove anche il colore, come nella statuaria classica, gioca un ruolo fondamentale, fino ad arrivare ad una sintesi compositiva estremamente equilibrata. Opere che, al di là della loro costituzione, restituiscono l’idea dell’istante, del sottile passaggio della metamorfosi”

                                                                                                              ROBERTO    MORONI (1995)

                                                    


“….Nelle sue opere c’è astrazione, ma nello stesso tempo una vitalità di Natura diventata cattiva, aggressiva e fissata in una  forte forma scultorea, metallica.

…..Fiori è nella tradizione: egli è scultore nel vero senso della parola, ma che si avvale delle novità della Civiltà Industriale come il taglio del metallo, la saldatura, ecc.….”

 MARCO   ROSCI (1996)


“…Personaggio poliedrico nel quale si congiungono il disegnatore, il pittore, nonché lo scultore colto che rappresenta matericamente riflessioni profonde da cui emergono verità essenziali.

Se, per dirla heiddeggeriamente, l’opera d’arte autentica non è che “il porsi in opera della verità”, occorre precisare che uno dei requisiti più rimarchevoli del Nostro è la rinuncia al “bello in sé” per puntare al vero.

…Forte personalità la cui arte è animata da nuove ricerche volumetriche, all’attenzione al dettaglio, dal senso del movimento, concavità e convessità, usa un linguaggio che si allontana dai canoni formali in una libertà di stile che rende i lavori ancora più pregevoli.

Scultore dai forti connotati esistenziali, usa un linguaggio inquietante quale riflesso dell’intrinseco bisogno di una trascendenza cresciuto ed alimentato dall’ umus di una ricca storia artistica.”

 DONATELLA CARRARO (1996)

 

 Installaziuone “DANZA MACABRA” 1997 -30 elementi di  ferro, inox, cor-ten, legno. L. 50 mt circa, h. da 3 mt  a 50 cm                

“…In una cultura dominata dalla religiosità, la morte schiudeva l’orizzonte dell’Eterno, celebrando il trionfo dell’Assoluto sul contingente, del Necessario sul casuale, dell’infinito sul finito….…La rivisitazione odierna di Fiori, della Danza Macabra, disvestita dell’originaria prospettiva escatologica, allude ad un’autentica modalità di vivere il tempo, sospeso sul Nulla, ma abitato dalla certezza del proprio Esserci.

Sottratta alla metafisica del divino, la contemporanea simbologia della danza –vitalistica e catartica- sembra rievocare il mito della ritualità dionisiaca nell’effigie danzante dello Zarathustra di Nietzsche, che si muove a passo di danza per irridere quello spirito di gravità che incatena le menti in ogni fanatismo; essa riafferma la centralità dell’uomo nel suo orizzonte terreno e prefigura, nella ciclicità dell’Eterno ritorno, la prospettiva di un rinnovamento nell’immanenza  della temporalità vivente...”    

ROSSELLA PESCE (1997) 

“Tormentare la materia per esprimere la delicata poesia dei “Teatrini” o il delirio delle “Danze Macabre” con l’ansia di liberazione in esse contenute, trascende il reale e si innalza verso vette altissime per la conquista dell’assoluto. Intenso e originale”.

 LUIGI GRILLO (2000)

“.....Abbandonata per ora la bidimensionalità della tela, la sua ricerca attuale si è trasferita verso le tre dimensioni della tattilità, nel creare, assemblare, intricare, disporre, saldare, inchiodare, imbullonare e modificare forme ed oggetti di scultura con il fascino assillante ed intrigante dell’ambiguità, della magia di gesti ripetuti, della ritualità alchimistica propria di un fare quasi ossessivo nella sua programmatica serialità. E tale fascino, la seduzione oscura e inafferrabile che circola in questi totem contadini e insieme raffinatissimi che sono le sue opere di oggi, lentamente e soavemente penetra i nostri pensieri, sovverte la pigrizia dello sguardo, brucia a freddo la nostra immobile contemplatività e ci costringe a prendere posizione rispetto all’enigma del vedere, turbati dall’arcano combinarsi delle immagini, affascinati dalla flessuosa ieraticità dei simboli e degli emblemi che ci interrogano.

Come un Calder impietrito dall’impossibilità della fantasia delle forme a farsi davvero poesia dell’uomo, Fiori si è innamorato di ciò che è  rimasto “vero” attorno a noi: le fasi della Luna, la mitologia delle stagioni e degli elementi naturali, le simbologie della vita e della morte così come della gioia e del dolore, l’orgoglio impassibile delle meccaniche celesti, la scabra nobiltà degli strumenti  di lavoro più umili, più dimessi o dimenticati.....” 

                                                                        GIORGIO SEVESO (2000)

 

“Utilizzare ferro, acciaio ed altri metalli nobili per descrivere e raccontare cose che in natura sono solo fragili è una sfida assoluta. E’ il caso della pannocchia di riso che Salvatore Fiori ha voluto interpretare e proporre per il monumento al riso da destinare alla città di Vercelli. Un’opera che si aggiunge ai mbolteplici monumenti di architettura ed altro che fanno di Vercelli una città di particolare fascino e bellezza. Fiori propone una spiga di grandi proporzioni realizzata in acciaio Cor-Ten, bronzalluminio e acciaio inox.  Una metamorfosi totale che vede trasformare la naturale fragilità delle foglie della pannocchia, in una robusta e vigorosa composizione di materia forte e indistruttibile.Una sorta di esaltante evocazione di un prodotto della terra di straordinaria importanza, un inno alla fortificazione di un alimento che è stato risolutivo nel combattere la fame planetaria.Materiali forti, quindi, quelli scelti da Fiori per raccontare (interpretare) l’importanza del riso in una città che è simbolo europeo della sua produzione. Una memoria ed un omaggio ad una città che da cinque secoli vive in simbiosi con la realtà del riso. Un monumento che dica e ricordi a tutti i visitatori di Vercelli che i suoi cittadini vogliono riconoscersi con fierezza nelle origini delle  terre d’acqua. Quelle che per loro hanno significato vita e benessere.”

 LIBERO GRECO ( 2002)   

 

“(…)L’insieme dei suoi lavori è fatto di pezzi seducenti, che invitano ad essere toccati con mano e che, colpiti dalla luce o dai riverberi, assumono col mutare delle ore un’ immagine diversa, lineare lamellare o “piena” che emerge dal paesaggio.

Quella di Fiori è un’arte che non si incrocia con la Land-Art, il Concettuale, il Minimal; va più sul versante onirico, della narrativa fantastica. Nel simbolo o nel dato iconico cerca una possibile via d’uscita da certe coordinate della situazione attuale. E’ un’arte che resta affabile anche quando dice cose pesanti, simulate e ingigantite con pittoresco disordine...”

ALDO CASERINI (2005)

“(…)Il mondo reale appare come finzione perché è immagine di “altro”. Il suo ordine e la sua logica sono apparenti e nascondono una realtà diversa e lacerante, che si può cogliere da un punto di vista “rovesciato” rivelato da tracce o resti concreti, osservati da una prospettiva inaspettata. Lo rivelano i chiodi che Fiori fissa in posizione capovolta. Il chiodo orientato verso l’alto (preso in considerazione dalla punta, che resta occultata nella tavola e non dalla capocchia), è sottratto alla sua funzione di oggetto strumentale - battuto dal martello penetra nella materia per fissare - e consegnato a quello simbolico-espressivo: esso dichiara il rovesciamento delle parti e della prospettiva ovvero della chiave di lettura della realtà. Al punto di vista e all’azione di chi aggredisce, offende e violenta l’altro uomo, senza neanche percepire o misurarne la sofferenza, l’artista sostituisce l’opposta condizione di chi è trafitto, offeso o ferito. Egli pone l’osservatore nella condizione dell’indifeso, trapassato dalla punta del chiodo: da lì l’uomo, impotente vittima, riconosce la falsità della vita e della spietata “commedia umana”, vissuta nel quotidiano e nella storia, e riconosce il vero nella logica del chiodo rovesciato(...).

      ANTONELLA BIANCHI   (2005)                                       

“(…)L’evento-scultura segue la contemporanea dilatazione fenomenologia della operatività artistica attuale: dalla materia impiegata e dalle forme dei materiali da costruzione, germinano, crescono nuove composizioni ambiguamente reali; lastre e superfici metalliche erose/ossidate mostrano un mondo disarmonico, lontano dai ritmi naturali delle terre da cui proviene l’autore.

Le sue opere, meta-sculture di nuclei organizzati in segni e forme reiterati e significanti, sono archetipi antropologici ed evocativi (frecce, punte, chiodi, escrescenze inquietanti e aggressive, specchio della Kunstwollen dell’artista e delle dinamiche a lui care di aggressore/aggredito e vittima/carnefice).

La violenza inflitta agli osservatori nella installazione recente dei chiodi rovesciati de “Il lato degli Inferi”, si rasserena nel dialogo universale sotteso a “Controscena” (2006), dove il chiodo-aria trasfigura e bilancia la deformazione plastica e vigorosa del chiodo-acciaio, richiamo ad un non-definito e perciò determinabile rapporto tra bene e male.

Nella necessaria dialettica tra permanenza e mutamento nella storia di un artista come Salvatore Fiori, la regola è data dal metodo-pensiero, dalla creazione non come fatto irrazionale e pulsionale ma quale controllo di fatti e forme, e la variazione invece sono le invenzioni formali introdotte dall’autore in relazione alle diverse circostanze storiche(…)”

MARIA GRAZIA PONTA (2006)

 

LA SCULTURA TRA IDEAZIONE E PROGETTO

 

La cifra creativa di Salvatore Fiori si arricchisce di un corpus di oltre cinquanta disegni, a tecnica mista, delle sue sculture, in un percorso di lettura degli stessi che si pone tra il momento ideativo in nuce e la progettazione tecnica ed esecutiva dei manufatti plastici.

I disegni, realizzati prevalentemente negli ultimi due anni, strutturano lo spazio del foglio con il corpo delle sue opere e si pongono allo sguardo del referente cogliendo e ri-conoscendo forme e archetipi della produzione dell’artista, persistenze semantiche strutturate: frecce e mezzelune dalla sua produzione degli anni ’90, teatrini, fontane, punte e chiodi degli ultimi lavori.

Si possono così ri-vedere, nei fogli in mostra, gran parte delle sculture che, dal duemila, sono state realizzate da Fiori, ed in particolare si denota un’attenzione maggiore ai volumi che divengono “scatolati” e non sono più mossi per piani bidimensionali.

Attività fino ad ora saltuaria e casuale quella disegnata, si rende qui autonoma nella produzione estetica e nella forte tensione immaginativa

“Chiodi germinati” 2006 -Tecnica mista su carta- cm. 35 x 50

che pervade ogni segno, divenendo materialità vibrante e scandita dai colori che urlano; prossimità materica che grida e legittima non tanto il senso dato da chi quei soggetti raffigurati saprà costruire e rendere reali, ma un mondo “altro”, intervallo ritrovato, interstizio di spazio-tempo cui l’artista concede di esistere.

 

  MARIA GRAZIA PONTA (2006) 

(...)Le sculture realizzate tra il 2005 e il 2008 si giovano anch’esse di una esperta levità compositiva, ma anche volumetrizzano o presentano una nozione di massa che le distingue.  Nell’opera di Fiori gli aculei hanno assunto una posizione narrativa centrale, paradigmatica, un valore emblematico, lessicalmente rappresentativo, “pungente”. Hanno una funzione di attacco, di stimolo, provocazione, denuncia. Di disvelamento. Non sono qualcosa di aggiuntivo o accessorio sul corpo delle forme, sono un elemento energico del linguaggio.

Nella dilatazione fenomenologica dell’operazione artistica hanno forza archetipale, iconica e insieme fisica, reale. Spuntano dalla forma pensata conferendo ad essa una declamazione drammatica; ma anche vi si conficcano e premono “dentro” determinando una condizione di ambiguità dolorosa consapevole. Richiedono un esercizio di “lettura” non convenzionale, proponendosi come metafora  dell’eterna lotta tra il bene e il male, tra conoscenza e volontà di vivere ed esistere, tra poesia e storia, realtà e verità.

Realizzate in acciaio Cor-Ten saldato, le meta-sculture di Fiori non cedono a tentazioni concettualiste. Sono lineari nella forma, essenziali nella sostanza, convincenti nel messaggio estetico, hanno la garanzia di una solidità di pensiero. Pacifista? No, realista. (Almeno questo è quanto ci vien da credere).

ALDO CASERINI (2008)